The History
LA STORIA DELLA STAMPA
Nel 1450 l’orefice Johann Gensfleisch zum Gutenberg inventa, a Magonza, il processo della stampa a caratteri mobili, che applica alla realizzazione della “Bibbia delle 42 linee”, completata tra il 1452 e il 1455.
La principale, rivoluzionaria novità consiste nel fatto che per la prima volta un testo risulta riproducibile, più velocemente del tempo nel quale possa esser letto e in un numero indefinito di copie, grazie alla componibilità di un numero limitato di caratteri in piombo (“tipi”) che possono essere di volta in volta smontati e ricomposti.
Il drastico abbattimento di tempi e costi di realizzazione determina una vera e propria rivoluzione culturale, decisiva nel passaggio dall’età medievale all’età moderna e nell’accelerazione del processo di alfabetizzazione.
Si forma, infatti, in pochi decenni, una vera e propria industria, che dilaga rapidamente in Europa, passando innanzitutto dalla Germania all’Italia e successivamente in Francia, Paesi Bassi, Spagna, Ungheria, Polonia, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Austria, Svezia. Nel 1480 si stimano già 110 stamperie, 50 delle quali in Italia.
Venezia è la nona città (terza in Italia) ad accogliere una tipografia: il primo libro – le Epistolae ad familiares di Cicerone – vi viene stampato nel 1469 dai fratelli Johann e Wendelin von Speyer. Nel colophon si legge: Nella città adriatica, Giovanni originario di Spira, stampò per primo libri con caratteri di bronzo. Quanta speranza si debba avere per il futuro, o lettore, lo vedi, poiché questa prima fatica ha superato l’arte della penna.
Venezia, nella quale apparirà, nel 1471, il primo libro stampato da un italiano, il prete Clemente da Padova, nel giro di pochi decenni assumerà un primato assoluto, arrivando a contare, già alla fine del Quattrocento, 150 tipografie in città, contro le 30-40, eccezionalmente 60-70 (a Parigi), delle città più importanti d’Europa, e arriverà ad esprimere la massima qualità con Aldo Manuzio. Si stima che il 38% dei libri stampati in Italia e il 15% di quelli stampati in Europa nel Quattrocento siano prodotti a Venezia.
Aldo Manuzio, raffinato umanista che si prefigge di pubblicare, in edizioni filologicamente corrette, maneggevoli e portatili, opere di autori classici greci e successivamente latini, apre la sua stamperia a Venezia nel 1490.
Nascono così le prime edizioni “tascabili” (in 16°), poi note come “Aldine”, e Manuzio, insieme all’elevata qualità delle opere uscite dai suoi torchi, si distinguerà per l’introduzione, con il Virgilio del 1501, del carattere corsivo, per questo motivo successivamente noto oltralpe come italico. L’intensa attività intellettuale che anima l’ambizioso progetto editoriale di Aldo Manuzio porta nel 1502 alla fondazione dell’Accademia Aldina, di cui fecero parte studiosi quali Erasmo da Rotterdam e Pietro Bembo e che si prefiggeva di diffondere lo studio dei classici greci in Europa.
Per tutto il Cinquecento Venezia manterrà il primato di produttività tipografica imponendosi come massimo centro della stampa in Europa: nell’arco di un secolo almeno 690 tipografi stamparono oltre 15.000 titoli. Vi daran lustro con un’editoria di qualità stampatori quali, oltre ai Manuzio, Francesco Marcolini, Giunti e Giovanni Giolito de’ Ferrari.
LA STAMPA ARMENA A VENEZIA
La diffusione della stampa armena in Europa e nel mondo è strettamente connessa con la presenza e la consistenza delle comunità della prima diaspora; il primo libro armeno stampato in Armenia col sistema dei caratteri mobili vede la luce soltanto nel 1771, a più di 250 anni dalla nascita della stampa armena, nella tipografia della sede catholicossale di S. Etchmiadzin.
La posizione privilegiata di Venezia quale snodo commerciale e culturale di primo piano, ponte e cerniera tra Occidente e Oriente mediterraneo, fa sì che in essa convengano e prosperino alcune particolari comunità straniere che contribuiscono sin dai primi decenni del Cinquecento ad imprimere all’attività editoriale veneziana
La somma di almeno tre fattori determina la stampa del primo libro armeno a Venezia, nel 1512, l’Urbatagirk (Libro del venerdì – un agile prontuarietto misto di preghiere, pratiche scaramantiche e farmacopea popolare), da parte di Hagop Meghapart:
- La presenza a Venezia di un’ormai consolidata comunità armena, documentata in città dal XIII secolo e particolarmente gradita e sostenuta dalla Serenissima per l’appoggio che ne riceve circa le relazioni commerciali con l’Oriente mediterraneo;
- L’essere Venezia, in quegli anni, al culmine del suo primato quale centro di stampa di rilevanza mondiale;
- La posizione privilegiata della città lagunare quale snodo e crocevia culturale e commerciale posto tra mare e terra, tra Oriente mediterraneo ed Europa continentale.
I primi sette libri stampati in armeno saranno tutti realizzati a Venezia, che fino al 1565, vale a dire per oltre mezzo secolo, rimarrà l’unica città in cui si stampa in caratteri armeni, e pure dopo la diffusione della stampa in lingua armena in altri centri, essa rimarrà al riguardo un luogo produttivo di primaria importanza, sino ad assurgere a centro propulsore, attraverso la stampa, della rinascita della cultura armena nel mondo, con l’attività della Tipografia Mechitarista di San Lazzaro.
Per i primi sessant’anni del Settecento la produttività di Costantinopoli fu tale da eguagliare e, a tratti, superare la stampa di libri armeni delle tipografie veneziane, ma dal 1760 al 1840 il primato torna a Venezia grazie all’intensificazione dell’attività editoriale della Congregazione Mechitarista.
LA STAMPA ARMENA MECHITARISTA
Mechitar di Sebaste diede inizio all’attività della nuova Congregazione monastica, a Costantinopoli.
Dopo la parentesi di Modone, approderà a Venezia, nel 1715, metterà subito a frutto le opportunità che gli offre Venezia in tecnica tipografica e darà alle stampe, per i tipi di Antonio Bortoli, il Compendio di Teologia di S. Alberto Magno.
La missione culturale della Congregazione Mechitarista, installatasi nel 1717 nell’isola di San Lazzaro, si esplica sin da subito attraverso un’intensa produzione testuale, di cui Mechitar si fa carico in prima persona, divenendo l’elemento trainante di tutta la sua famiglia religiosa. Quali frutti di intensi anni di lavoro, egli pubblica, tra varie opere e trattati, una nuova traduzione della Bibbia (1733) e il Bargirk’ Haykazian lezui (Vocabolario della lingua armena, 1749).
Il fervore produttivo della Congregazione cresce notevolmente nella seconda metà del Settecento, soprattutto con l’installazione di una Tipografia nell’Isola di San Lazzaro, al punto da riguadagnare a Venezia il primato mondiale nella stampa di libri armeni tra il 1760 e il 1840.
Il significato e valore culturale dell’attività tipografico-editoriale mechitarista si può sintetizzare nei seguenti punti:
L’attività editoriale risponde alla missione originaria della Congregazione che con Mechitar si è data l’obiettivo della rinascita culturale del popolo armeno, per cui attraverso la produzione libraria si intende dare nuovo impulso alla cultura in tutti i suoi aspetti, dalla spiritualità alle arti, sino ai “Saperi” tecnico scientifici che possono migliorare il benessere e la condizione economica del popolo armeno nelle terre dell’Impero Ottomano.
Tale impulso culturale comporta un particolare investimento nel fattore storico e linguistico, per cui una parte cospicua del lavoro dei Padri della Congregazione è mirata da un lato all’impianto di una solida storiografia; dall’altro al recupero e apprezzamento della lingua letteraria, lavoro che giungerà a una vetta ineguagliabile con l’approntamento e la stampa, nel 1836-1837, del Nor bargirk Haykazian lezui, in due volumi stampati a tre colonne, Dizionario risultante dalla collaborazione dei tre padri mechitaristi Avedichian, Siurmelian e Aucher, e per questo nota col nome di Dizionario dei tre vardapet, “vera enciclopedia” della Lingua Armena, come la definì P. Mesrop Gianascian, e ancora oggi punto di riferimento ineludibile.
Lo scopo della Congregazione era quello di incoraggiare una vera e propria osmosi culturale tra Oriente e Occidente, che si manifestò con traduzioni incrociate di classici armeni nelle lingue occidentali e di classici letterari occidentali in armeno. Gli esempi paradigmatici sono la traduzione italiana della Storia di Mosè di Khorene, che beneficiò della collaborazione di Nicolò Tommaseo (1841), e la traduzione armena dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni (1875). Saranno oltre 130 i capolavori della produzione letteraria antica, medievale e moderna dell’Occidente letterario tradotti in lingua armena a San Lazzaro con la netta consapevolezza di offrire al proprio popolo una fonte feconda di arricchimento culturale.
LA TIPOGRAFIA A SAN LAZZARO
Per la propria attività editoriale a Venezia, Mechitar di Sebaste si appoggia alle tipografie della città già attrezzate per la stampa in caratteri armeni, tra le quali spicca l’officina di Antonio Bortoli, cui l’Abate della nuova Congregazione affida l’esecuzione delle sue opere più importanti. A quarant’anni dalla sua morte, nel 1789, vengono trasferiti in isola i torchi e materiali della stamperia, già acquistati da Mechitar nel 1729, e di quanto ceduto dalla tipografia di Antonio Bortoli.
Viene così ad insediarsi in isola la nuova Tipografia Mechitarista di San Lazzaro, cui viene riservato un apposito spazio all’angolo Nord-Ovest del Monastero, successivamente ampliato con la costruzione di un’intera nuova ala nel 1823-1825.
I Padri mantennero sempre la Tipografia di San Lazzaro ad un livello avanzato, tenendosi al passo con le innovazioni tecnologiche e conferendo, anche grazie ad una singolare sensibilità grafica e accuratezza nella procedura di stampa, un’elevata qualità agli stampati, per cui le edizioni mechitariste, soprattutto del XIX secolo, fino ad oltre la metà del XX, apprezzate in tutto il mondo, si distinguono ancora oggi ad occhio nudo, a partire dalla nitidezza dei caratteri, al paragone con prodotti tipografici di altre stamperie in lingua armena.
Presto l’officina di San Lazzaro si distingue come tipografia poliglotta. La Tipografia Mechitarista di San Lazzaro si mantenne fedele al principio di adeguamento tecnologico fintanto che fu possibile, compatibilmente alla sua collocazione ambientale.
Venne chiusa nel 1995 per l’insostenibilità dei costi, per un’isola della Laguna veneta, di un’attività tecnica comportante una cospicua movimentazione di materiali. Sopravvive comunque tutt’ora come casa editrice.